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A 29 anni appena compiuti, Luis Ezequiel Ávila, in arte il Chimy, attaccante argentino dell’Osasuna, sembra aver ritrovato lo smalto che un paio di anni fa lo aveva reso uno degli attaccanti sorpresa della Liga, cercato e corteggiato da Barcellona e Atletico Madrid. Lui che, dopo una vita di stenti e la sensazione che il sogno del calcio fosse ormai sfuggito, ha saputo ritrovarsi in Spagna quando la madrepatria lo aveva dimenticato. Superando le difficoltà economiche prima e quelle fisiche dopo due gravi infortunio tra 2020 e 2021 che rischiavano di frenare, bruscamente e prematuramente, lo slancio finale verso la gloria.

Tra i momenti più iconici del calcio del nuovo millennio, la corsa di José Mourinho al fischio finale di Barcelona-Inter, semifinale di Champions terminata 1-0 per i blaugrana che però aveva garantito il passaggio del turno ai nerazzurri, occupa sicuramente un posto speciale. È in situazioni come quella che il portoghese si esalta: con la squadra messa alle corde, resistere, incassare e vincere, arrivando sul gong stremato e barcollante ma ancora in piedi, gli riesce meglio di ogni altra cosa o quasi. Quella corsa di gloria, col braccio alzato e lo sguardo di sfida mentre gli idranti del Camp Nou cercavano la loro simbolica vendetta, non ha raccontato nulla a molti oltre il gesto in sé, ma nella mente di alcuni appassionati più anziani e a Sud dell’Equatore avrà stimolato qualche ricordo. È il 14 dicembre del 1969, all’Estadio Monumental River Plate e Boca Juniors si giocano il Nacional all’ultima giornata di un campionato thrilling. Il River deve vincere per aggiudicarsi il titolo; dall’altro lato il Boca può contare su due risultati su tre. Nella prima mezz’ora gli Xeneizes si portano sopra di due reti: Madurga gela due volte i Millionarios e ipoteca il titolo. Más e Marghetti riescono solo a spaventare gli uomini allenati da Alfredo Di Stefano, ma il River non riesce a completare il ribaltone: al fischio finale è 2-2 e Boca campeón. Partono i festeggiamenti azul y oro, non senza qualche scaramuccia con gli avversari. I giocatori del Boca si rivolgono inizialmente verso il settore occupato dai loro tifosi, senza rendersi conto di quel che sta succedendo sul terreno di gioco; gli idranti del Vespucio Liberti esplodono di rabbia e rimpianti, proprio come faranno quarant’anni dopo quelli dello stadio catalano. A quel punto, succede qualcosa di strano: ai campioni appena eletti dovrebbe essere riservato un giro di campo celebrativo, che però il River decide apertamente di sabotare con quel gesto. Nel gruppo del Boca c’è chi decide di raccogliere la provocazione de Las Galinas: Silvio Marzolini guida la vuelta olimpica, inzuppandosi del tutto, seguito dai suoi compagni di squadra, e consegna quel momento alla Storia, concedendo anche un bis. Il collegamento con Mou viene naturale; sebbene possa sembrare forzato, conoscendo lo Special One e la sua conoscenza enciclopedica di questo sport, non è difficile immaginare che possa aver pensato a quella esultanza (anche) come un tributo. Marzolini è il capitano di quella squadra e ha appena portato a termine una prestazione precisa e concentrata, che ha esaltato le sue qualità difensive. Al tempo stesso, questa mossa lo mette in rilievo come leader, uomo solo al comando, personaggio carismatico: un momento che definisce la sua eredità sportiva a 360°, il canto del cigno di una carriera non troppo lunga ma che l’ha consegnato agli annali come un’icona del Fútbol argentino.

L’Argentina è un paese fantastico: il giusto mix tra l’esotico sudamerica e il calore dei costumi mediterranei. Come i mediterranei però, anche gli argentini hanno imparato a complicarsi le cose: pur restando ancorato ad alcuni crismi identitari, che lo rendono “speciale” per alcuni e arretrato per altri, il calcio soffre di contraddizioni e paradossi. Gli stessi che vedranno il Club Atletico Patronato partecipare alla Copa Libertadores 2023 dopo un trionfo storico in Copa Argentina pur dovendo disputare, a causa della retrocessione da “promedio“, il campionato di Primera B Nacional, la cadetteria argentina.

Nella notte si sono conclusi i quarti di finale di Copa Libertadores: se è vero che si tratta di una competizione spesso sottovalutata e guardata in maniera parziale alle nostre latitudini, essa permette di avere un quadro veritiero di quello che sta succedendo nel calcio sudamericano. E di come, nonostante un atavico e quasi innato dualismo tra Brasile e Argentina, i primi stiano davvero tentando di monopolizzare il paese con società capaci di ritrovare l’appeal e il potere economico di un tempo e di piazzarsi nel panorama mondiale come solide alternative a tante squadre del vecchio continente. Tant’è che in semifinale ci saranno tre squadre verdeoro ed una sola albiceleste.

San Lorenzo, io lo so perché tanto

Di stelle per l’aria tranquilla

Arde e cade, perché sì gran pianto

Nel concavo cielo sfavilla

Questa è la prima strofa di una delle più celebri poesie che compongono l’immenso patrimonio artistico italiano. È il toccante incipit di X Agosto, in cui Giovanni Pascoli annuncia il motivo per cui, nella notte di San Lorenzo, il cielo “piange” le proprie stelle. Per il poeta quella notte offre un ricordo doloroso, quello della morte del padre, ucciso in circostanze misteriose proprio nel giorno di San Lorenzo. Un evento che sconvolge per sempre la vita di Pascoli e segna in maniera indelebile tutta la sua futura poetica. Il motivo per cui il cielo riversa in terra le proprie lacrime.

Una volta, chiacchierando con una mia amica, parlavamo dell’importanza di fare le cose bene. Il detto “Il fine giustifica i mezzi” lo conosciamo tutti, ed è condivisibile o meno, a seconda degli istinti che ci muovono come esseri umani. Per rendere chiaro il pensiero che stavo esprimendo, mandai questo video alla mia amica, una conferenza stampa di Marcelo Bielsa di quando allenava all’Athletic Bilbao. Durante la stessa, “El Loco” racconta una storia illuminante di quando era un bambino, e viveva in un barrio di Rosario, dove il rispetto si guadagnava con la fatica. C’erano famiglie che lavoravano tanto per permettersi un Seat, e altre che vincevano alla lotteria e compravano un Mercedes-Benz. C’era chi veniva stimato perché aveva il Seat, ma soprattutto perché aveva lavorato per poterlo acquistare. Ancora una volta, l’eterno scontro tra processo e risultato. Forse questo è il primo momento nella vita di Marcelo Bielsa in cui si è trovato di fronte al bivio che ha caratterizzato la sua vita, la sua carriera e il suo credo. 

Un tempo sicura fucina di talenti mondiali, il Boca Juniors ha attraversato un periodo di magra quanto a calciatori divenuti fenomeni nell’ultimo quinquennio. Se la sconfitta nella “Final del Mundo” contro il River Plate del 2018 ha tolto tranquillità nel poter lavorare con una certa progettualità e senza pressioni, ciò che più colpiva nella Buenos Aires sponda xeneize era la mancanza di un vero e proprio talento chiamato a ridare lustro e rimescolare le gerarchie del calcio argentino. Oggi, con il ritorno al timone, seppur da vice presidente, di Juan Román Riquelme e con un periodo segnato dalla volontà di lanciare tanti giovani in prima squadra guidati in panchina dal calciatore più vincente della storia del club Sebastian Battaglia, il Boca sembra aver ritrovato un astro nascente. “El Changuito” Exequiel Zeballos, già nel mirino di tante grandi d’Europa.

Nonostante la yerba mate sia da più di un secolo la bevanda più consumata in gran parte del Sudamerica (seppur in formati e preparazioni diverse), nell’ultimo decennio tale rito si è totalmente sdoganato alle nostre latitudini grazie soprattutto ai social. Ogni giorno tantissimi calciatori mostrano la propria intimità, spesso accompagnati da questo tè e dal suo riconoscibile contenitore, incuriosendo chi non ne conosce i costumi tanto da chiedersi: cosa può avere il mate di così speciale e perché per tantissimi calciatori si tratta ormai di un prolungamento naturale del braccio? Proviamo a ripercorrerne assieme l’evoluzione degli ultimi anni.

Per tutti gli appassionati di calcio, pochi paesi del mondo riescono ad esprimere il fascino che emana in maniera ipnotica l’Argentina. Uno dei poli calcistici più importanti del mondo, patria di alcuni dei massimi esponenti di questo sport e scenario di quella che, con tutta probabilità, è la rivalità più sentita e accesa del mondo: quella, chiaramente, tra River e Boca. L’Argentina è un paese dalle forti passioni. È la terra delle esagerazioni, dei sentimenti che imperversano come tempeste impetuose. Che bruciano come il sole sulle terre selvagge e incontrollabili. È uno stato tormentato, eppure costantemente innamorato. Capace di dimenarsi tra le passioni più asimmetriche, ma di mantenere sempre dritta la propria rotta. Alta la propria bandiera.

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