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A due anni da quel River-Boca

Nonostante siano passati 730 giorni dalla finale di Copa Libertadores 2018, i cammini e le storie di River Plate e Boca Juniors sono cambiati irrimediabilmente. Perché, da quel 9 dicembre 2018, nella quotidiana valutazione tra le due superpotenze di Buenos Aires, il ricordo di Madrid è ancora vivo con sfumature diverse.

Da una parte i Millionarios sono convinti di aver silenziato l’acerrima rivalità, vincendo l’unica finale continentale mai disputata contro gli Xeneizes. Godendo di fatto di un’amnistia dei tifosi che hanno poi perdonato a giocatori ed allenatore qualsiasi tonfo successivo. Dalla Coppa del Mondo per Club nel 2019 passando per la finale di Libertadores l’anno successivo e per la Superliga 2020 persa all’ultima giornata con il Boca.

Questi ultimi invece affrontano un periodo di transizione lungo due anni, in cui non mancano recriminazioni, colpe e ricerca dei capri espiatori. Il tutto nonostante un campionato vinto ai danni dei rivali nel marzo scorso ed una squadra trainata dall’ennesima ripartenza di Carlos Tevez, che ad oggi vive una seconda giovinezza.

Juan Fernando Quintero celebra il gol del provvisorio 2-1 durante la finale di Madrid del 9 dicembre 2018 (Foto: Oscar del Pozo/AFP via Getty Images – OneFootball)

Quello che accadde nell’ultima finale d’andata e ritorno di Copa Libertadores, la più lunga mai disputata (passarono ben 28 giorni tra le due sfide), lasciò strascichi non solo a livello sportivo, ma politico, calcistico e di sistema. Con mancanze ed errori che di fatto tolsero la vetrina mondiale al Sudamerica per portarla nel cuore d’Europa, al Santiago Bernabeu di Madrid.

L’andata, Atto I

10 novembre 2018. Mentre in Europa l’inverno è alle porte, in Sudamerica la primavera si sta rivelando più calda del solito. Sembra il giorno perfetto per una partita, per dare vita al primo atto di una sfida che tutta l’Argentina aspetta da tempo. Si inizia da una struttura iconica e ricca di storia come La Bombonera.

Situato nel cuore del quartiere popolare de La Boca, a pochi passi dal Riachuelo, il fiume che sfocia nell’immenso Rio de La Plata e che divide la parte meridionale della capitale dalla provincia. Quello dove i genovesi, storicamente e come attestano i dipinti sulla facciata dello stadio, fondarono il club. Gli ultimi quotidiani e le ultime trasmissioni, stanche di confrontare gli uomini di Marcelo Gallardo e quelli di Guillermo Barros Schelotto, trasudano ansia e voglia di assistere alla gara.

Le condizioni de La Bombonera il 10 novembre (Foto: Eitan Abramovich/AFP via Getty Images – OneFootball)

Se non fosse che, dalla prima mattina, l’eccessivo calore della capitale ed una perturbazione di maltempo iniziano a far dubitare. La pioggia scende inesorabile ed incessante, inondando le strade della capitale con precipitazioni simili a monsoni. Inizialmente il rinvio appare un evento utopico, soprattutto dopo la snervante attesa.

La Boca, le sue stradine ed i tifosi iniziano a giungere in massa, inzuppati d’acqua ed imperturbabili a qualsiasi condizione metereologica. l’accesso allo stadio, le tribune ed il terreno di gioco sono simili ad un acquitrino: appare una beffa, uno scherzo del fato, ma la gara è rinviata al giorno successivo. Spingendo i tifosi, già festanti tra bandiere e fernet, a tornare mestamente a casa per passare un’altra notte.

L’andata, Atto II

11 novembre 2018. Il tempo è plumbeo, il cielo della capitale sembra in ansia per quello che accadrà nel pomeriggio. La pioggia è sparita, i problemi del giorno prima sembrano svaniti. Si gioca, questa volta per davvero. Tra le vie del quartiere, passando dal Caminito ai locali più turistici, torna il folklore: musica, canti e choripan (il classico panino con la salsiccia e salsa chimichurri) ad accompagnare quello che sarà lo spettacolo sul campo.

Una partita in cui La Bombonera “late“, ovvero batte come un cuore impazzito, citando un famoso detto in voga tra i tifosi xeneizes. Il 2-2 finale, ricco di gol, spettacolo e storie parallele, da quella di Ramón Abila e Darío Benedetto per il Boca alla rivincita di Lucas Pratto con il River, l’andata va in ghiacciaia con normalità e tranquillità.

L’opinione pubblica è unanime: da una parte ci si prodiga per complimentarsi con l’organizzazione di un match così critico dal punto di vista della sicurezza. Dall’altra, scrutando eventuali pregi e difetti delle due compagini, inizia a disegnarsi quello che sarà il ritorno al Monumental, due settimane dopo.

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Ramon Abila apre le marcature durante la finale d’andata del 11 novembre 2018 (Foto: Marcelo Endelli/Getty Images – OneFootball)

River-Boca, Atto I

24 novembre 2018. La gioia e spensieratezza de La Boca vengono traslate nel centrale quartiere di Núñez, un’elegante periferia nord della capitale argentina. Tra spiagge e discoteche affacciate sul Rio de la Plata ed un’aria moderna ma al contempo caratteristica (il famoso quartiere di Palermo non è lontano), i dintorni dello Stadio Antonio Vespucio Liberti, meglio conosciuto come Monumental, sono praticamente inondati di tifosi in maglia bianca e banda rossa.

Il clima sembra pacifico, si iniziano a gremire le tribune dello stadio quando qualcosa va storto durante l’arrivo delle squadre. Il bus del Boca Juniors viene preso d’assalto da una sassaiola, da lancio di bottiglie e gas urticante. L’accaduto, avvenuto a pochi metri dall’entrata dello stadio, provoca il ferimento dell’autista e di alcuni calciatori: tra di loro c’è la bandiera Pablo Perez, ferito ad un occhio e miracolato per questione di centimetri.

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L’attesa al Monumental, nella gara di ritorno del 24 novembre 2018 (Foto: Getty Images – OneFootball)

Con una situazione che si fa di minuto in minuto sempre più incandescente e confusionaria, sono molti gli scontri ed i saccheggi che avvengono nei dintorni dello stadio, mentre all’interno gli organi competenti cercano di decidere il da farsi. Le due ore più estenuanti del calcio argentino si consumeranno tra posticipi di orario, calciatori emotivamente provati (lo stesso Perez sarà trasportato in ospedale per poi tornare negli spogliatoi) e numerosi cambiamenti di programma.

Fuori è sommossa popolare, con scontri, arresti e tifosi che tentano l’ingresso nello stadio anche senza biglietto. Dentro il Monumental è gremito ma incredibilmente silente, coi tifosi in attesa di notizie dalle radioline dei propri cellulari. Come durante la gara d’andata, alla fine la partita è rinviata al giorno successivo. Tuoneranno forti le parole di Pablo Pérez dall’albergo del Boca Juniors quella stessa sera:

Ragazzi, questo è calcio. Abbiamo una famiglia e dei figli.

River-Boca, Atto II

25 novembre 2018: in quello che sembra un thriller in cui i protagonisti rivivono il giorno precedente, i tifosi del River Plate si recano allo stadio il giorno successivo. Con la speranza che sia la volta buona per vedere i propri idoli. Nelle concitate ore susseguenti il rinvio, il Boca Juniors ha cambiato la sua posizione in merito alla disputa della partita. Valutando che ci siano gli estremi per protestare con la CONMEBOL e chiedere una vittoria a tavolino.

E mentre l’organico del River giunge allo stadio, con i tifosi nuovamente asserragliati sulle tribune, tornano gli spettri del giorno precedente. Spettri che si riveleranno veritieri, perché il Boca non metterà piede al Monumental minacciando azioni legali. La patata bollente passerà alla federazione sudamericana: con un ventaglio di tre possibilità. Ovvero la vittoria a tavolino per il Boca, la disputa del ritorno su un campo neutro o il recupero della partita a porte chiuse.

No, non si gioca (Foto: Marcelo Endelli/Getty Images – OneFootball)

Nei giorni successivi si susseguiranno le critiche da parte dell’opinione pubblica, in un turbinio di “non impareremo mai” e di “è sempre la stessa storia”. Al centro  vengono posti gli eventuali errori legati all’organizzazione ed all’arrivo dei calciatori della squadra avversaria. Il cordone viene giudicato morbido, soprattutto in alcune stradi adiacenti al Vespucio Liberti: strade in cui le frange violente del tifo organizzato dei Millionarios avrebbero avuto vita facile nell’attaccare il bus xeneize. I veri affranti, come spesso accade, saranno i milioni di tifosi che attendevano questa sfida con ansia.

River-Boca, Atto III

29 novembre 2018. Dopo un ampio ventaglio di proposte, dalle capitali Asuncion e Lima candidate ad ospitare la finale, è Madrid a spuntarla. La CONMEBOL decide di trasportare la querelle sudamericana al Santiago Bernabeu, il 9 dicembre 2018 alle 20:30. Sfruttando l’occasione persa al Monumental in una possibilità per amplificare la conoscenza del torneo in Europa.

C’è chi è sgomento perché la finale si giochi a 14.000 km di distanza e chi invece prova a prenotare pazzamente un last minute per raggiungere il Santiago Bernabeu. I botteghini online vanno in tilt quasi subito, soprattutto a causa dei molti argentini espatriati in Spagna che pensano di vivere un sogno.

Un tifoso del River Plate ed uno del Boca Juniors la sera del 9 dicembre 2018 (Foto: Gonzalo Arroyo Moreno/Getty Images – OneFootball)

9 dicembre 2018. Scatta l’ora x. Questa volta, tra controlli capillari e strade perfettamente controllate, River Plate-Boca Juniors si gioca. Il calore popolare e sudamericano è presente sugli spalti, mentre le tribune sono una kermesse di star e calciatori, soprattutto argentini, che ne hanno approfittato per gustarsi lo spettacolo. La linguaccia di Benedetto dopo lo 0-1, il pareggio di Pratto, la pennellata di Quintero, la fuga solitaria del Pity Gonzalo Martinez. Saranno i 4 frame del 3-1 finale, quelli che permetteranno ai Millionarios di sollevare una storica coppa. Gettando gli avversari di una vita in una crisi profonda.

Fu una finale incredibilmente lunga ed estenuante, con momenti di gioia ed altri di tristezza, rabbia e panico. D’altronde, dalla loro creazione, River Plate e Boca Juniors sono andate oltre le rispettive identità calcistiche, entrando nella quotidianità degli argentini. Rompendo muri sociali, sportivi e politici. Sarà l’ultima finale ad andata e ritorno della storia della Copa Libertadores. Una finale giocata in due continenti. Una finale, nel bene e nel male, da ricordare nel tempo.

Autore

Nato in Italia, girovago per studi tra Francia e Spagna, poi Argentina per passione: scrivo per amore innato verso questo sport e per la necessità di esprimermi condividendo le mie idee. Amo raccontare storie particolari e poco conosciute, da quelle legate al calcio francese o agli angoli più remoti dei confini argentini.

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