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Danilo Budite

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Le immagini sullo schermo passano velocemente. Sono frammenti, ricordi di una vita tanto vicina, quanto ormai lontanissima. Era lei, ma non sembrava lei. Forse era qualcun’altra che le aveva rubato la faccia. Un impostore, che era salito sul palco e si era finto lei. Un inganno talmente ben congeniato che sembrava reale. Lì vicino la bottiglia. Quel liquido così familiare, caldo e accogliente, che tante volte le aveva dato conforto nelle serate fredde e desolate. Un rifugio disperato. Le immagini scorrono, il liquido dentro la bottiglia diminuisce. Intanto lei, seduta sul letto, si appresta a vivere gli ultimi istanti della sua breve e intensa vita.

Si respira finalmente un po’ di quiete tra quei muri altissimi, spaventosi. Finalmente si può prendere fiato un po’, abbassare la testa e per 90 minuti non pensare a cosa sta per arrivare. A cosa arriva inesorabilmente ogni giorno. Fino al giorno in cui non arriverà più. Fino alla scomaprsa definitiva. Gli uomini in divisa sono lì in cortile, fumano con le spalle poggiate al muro. Non fanno caso a tutte quelle persone che lì, dietro a delle sbarre, li fissano con gli occhi vuoti. Stavolta non sono interessati, non li degnano di attenzione. Le loro orecchie sono rivolte invece a una radiolina poggiata su un tavolo, nel centro del cortile. Da dentro quell’apparecchio una voce trepidante annuncia che l’attesa sta ormai per finire. Che al Monumental di Buenos Aires stanno per scendere in campo Argentina e Olanda, per l’atto conclusivo del Mundial ’78.

Nel gigantesco monumento al calcio francese, risalente a quel leggendario 1998 che ha segnato l’affermazione della Nazionale transalpina come la migliore al mondo, i galletti in maglia in blu si apprestano ad affrontare l’Irlanda. Parigi è una polveriera, come le è spesso capitato nella sua storia. Una città dall’animo incendiario, contrassegnata dalle passioni più estreme. Come quelle che vengono esternate nella cattedrale calcistica di Saint-Denis, che oscillano dall’indignata rabbia alla religiosa speranza. La Francia, finalista del Mondiale tedesco appena tre anni prima, sta per scendere in campo contro l’Irlanda nel ritorno dei play-off per accedere al Mondiale successivo, il primo in terra africana.

Si dice che la storia la facciano i grandi uomini, quelli capaci di prendere le decisioni importanti nei momenti delicati. La scrivono i vincitori, i pochi che riescono a tramandare il proprio nome ai posteri. A trascriverli nei libri. A farli riecheggiare nel tempo. Magari sì, la storia la compiono i grandi uomini, ma la mettono in moto le masse. Le folle, la varietà umana, la corposa rappresentanza di anime che contano poco, ma pesano tanto.

È un Natale un po’ particolare quello del 2016. Almeno per quei giocatori che, alzando lo sguardo al cielo, non vedono alberi illuminati e lucine decorative, ma solo enormi grattacieli e lo skyline di una città troppo futuristica per quei giorni dal sapore di festa. Doha è una perla del Medio Oriente, la Capitale dello stato del Qatar. Una città all’avanguardia, ultra moderna, lontana anni luce però da quel calore tradizionale che ci si aspetta di vivere il 23 dicembre.

Estate 1992. A quattro anni di distanza dalla kermesse tedesca, si torna a giocare l’Europeo. Stavolta è la Svezia a ospitare la competizione, guadagnando così l’accesso di diritto alla manifestazione. Sarà la prima partecipazione nella sua storia. In totale sono 8 le squadre che voleranno alla volta del nord Europa. Diverse, ed eclatanti, sono le assenze. A cominciare dall’Italia, arrivata seconda nel girone di qualificazione alle spalle dell’URSS, che a quell’Europeo nemmeno riuscirà a partecipare in forma integrale. Mancherà la Spagna, che aveva concorso per l’assegnazione. Non centrano la chiamata per la Svezia nemmeno il Portogallo e il Belgio.

L’attesa è frenetica lì dietro, tra le quinte di quel teatro enorme. Le truccatrici danno gli ultimi colpi di cipria coi loro polverosi pennelli. Gli scenografi corrono avanti e indietro, dettano indicazioni e sperando che tutto vada il meglio. Intanto quel ragazzo attende il suo momento, che sta per arrivare. Pochi minuti. Davanti ai suoi occhi si aprirà una platea piena di persone pronte a giudicarlo. Sarà sotto lo sguardo indiscreto delle telecamere che lo porteranno nelle case di milioni d’italiani. Pronti anche loro a giudicarlo. Però sarà comunque un’esperienza indimenticabile, salire su quel palco storico. Almeno spera.

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